martedì 9 aprile 2013

CRISTIANESIMI





Se il kerigma della morte e risurrezione di Gesù costituisce il nucleo originario della fede cristiana, occorre rendersi conto che le conseguenze di questo annuncio non hanno prodotto in un colpo solo quello che oggi chiamiamo “cristianesimo”. Occorre, dal punto di vista storico, non applicare a quanto avvenne nel I secolo le categorie di oggi, sebbene abbiano una lunga tradizione. Lo sguardo degli storici è ormai consolidato sulla opportunità di focalizzare diversi gruppi e comunità, che non hanno recepito una dottrina su Gesù (tanto meno un catechismo), quanto hanno aderito a una persona, a uno stile di vita, a un’esperienza umana e religiosa, interna, peraltro, all’originaria cultura giudaica. Quando in Atti degli Apostoli 11,26 si dice che ad Antiochia, capitale della provincia romana di Siria, “per la prima volta i discepoli furono chiamati Cristiani”, non necessariamente si deve pensare che si ritenessero già un gruppo esterno al “giudaismo”, né che appartenessero loro le forme e istituzioni che vedremo proprie del III-IV secolo, nelle quali più facilmente noi stessi potremmo riconoscerci. Ad un certo punto, è certo che il gruppo dei cristiani si separò e fu espulso dalle sinagoghe, dove di solito predicavano, ma non sembra nemmeno questo il punto in cui “nacque” il cristianesimo.
Il fatto è che le conseguenze della vicenda di Gesù e dell’annuncio della sua risurrezione, furono tali da produrre una rapida formazione di comunità, secondo uno schema che, verosimilmente, si può rintracciare in Atti 2,8 laddove si dice che i discepoli sarebbero stati testimoni di Gesù “a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra”. Questa geografia – precisata con lo sviluppo nell’area siriana, nell’Asia minore, nella Grecia fino alla Macedonia e a Roma – costituisce il canovaccio della narrazione degli Atti, interessati più che alla precisione dei fatti ad una teologia della missione, al cammino della Parola fino ai confini del mondo conosciuto o, meglio, al suo centro (Roma). Narrazione sufficiente per vedere come le comunità sorsero in comunione, ma anche in autonomia tra loro e come in esse si moltiplicarono inizialmente le “voci” missionarie, portando a più forme di cristianesimo. Giacomo, Barnaba, Pietro, Paolo, ma anche Apollo ed altri, sono i protagonisti di predicazioni talvolta in conflitto tra loro. È evidente che il “cristianesimo” è stato fin dall’inizio una pluralità di cristianesimi, locali, raggruppati attorno a figure carismatiche, all’uso di testi che via via s’imponevano per autorevolezza. Ma, chi sono i cristiani in rapporto ai giudei e ai pagani?
Occorre notare che mentre si parla di “giudeo” in riferimento ad un gruppo etnico culturalmente omogeneo (sarebbe più corretto dire: ebreo) e di “giudaico” riguardo a una cultura e alla religione di appartenenza (giudaismo opposto a ellenismo), ciò non vale per le parole “gentili” o “pagani” – che ricorrono nel Nuovo Testamento. Con esse s’indicano i romani, gli egizi, i greci – termine, quest’ultimo, talvolta generalizzato per indicare tutti i “gentili”, persone né etnicamente ebree né appartenenti alla “cultura” e “religione” giudaica. Sappiamo di pagani – etnicamente –simpatizzanti del giudaismo (timorati di Dio, es.: Cornelio, i “greci” cui ad Antiochia si inizia a predicare nella sinagoga, At 11,20), come di giudei/ebrei – etnicamente - che appartengono alla cultura greco-romana.
Dire cristiani, invece, significa, nel I secolo, parlare di seguaci di Gesù, cioè persone che si differenziano per il fatto di seguire Gesù dentro una cultura qualsiasi, giudaica o greco-romana: in questo caso Atti individua cristiani ebrei/giudei “giudaici” (etnici e di cultura-religione giudaica: Pietro, Giacomo ecc.) e cristiani ebrei/giudei (etnici ma) di cultura greco-romana (gli “ellenisti”: Stefano, 6,5); accanto, pagani cristiani cioè provenienti dal mondo culturale-religioso dei gentili/pagani (ad es. il centurione Cornelio, romano, già simpatizzante del giudaismo e fattosi cristiano, 10,1; 11,20). I cristiani del I secolo, cioè, non solo non hanno prodotto ancora una cultura a sé (una precisa e distinta organizzazione dello spazio e del tempo), tanto meno una società uniforme, ma prescindevano da una cultura specifica. Non sono una etnia quanto una comunità, una associazione di persone, di etnie e culture anche diverse, dentro società già stabilite. Se c’è un carattere innovativo – soprattutto rispetto agli ebrei - è l’istanza missionaria svincolata da esigenze etnico-religiose, che favorì la piena inclusione di quei greci che nel giudaismo rimanevano, come simpatizzanti incirconcisi, ai margini dello stesso.
Ad Antiochia, perciò, s’inizierebbe a identificare una comunità di persone che si distingue (e poi si stacca) dalla comunità religiosa giudaica, a suo tempo radicatasi in quella città, inglobando in modo via via prevalente i pagani.
C’è già, nei fedeli d’Antiochia, quel “quid” che li accomuna a coloro che apparterranno a quella che sarà definita la “Grande Chiesa”? Vista la rilevanza che Atti dà a questa chiesa rispetto alle altre sette cristiane, cioè alle “scelte” diverse in termini di interpretazione della vicenda di Gesù, vi è in essa un “nocciolo” comune normativo (vincolante) che discrimina tra le opzioni pratiche e teologiche via vie nate dall’evento Gesù dando vita ad un “sistema religioso” preciso? Diverso dal giudaismo ovviamente, come dagli altri sistemi religiosi del tempo.
Nella geografia dei cristiani si deve riconoscere un gruppo, presso la chiesa madre di Gerusalemme (quello di Giacomo fratello del Signore, At 12,17), che rimarrà interno alla società giudaica. Gli studiosi parlano di “giudeocristianesimo”. I giudeocristiani – destinati poi a sparire - rimarrebbero giudaici per cultura, ma cristiani per sistema religioso? Avrebbero convinzioni e prassi diverse dai giudei (come, del resto, il Battista), senza uscire di per sé dal giudaismo (come Gesù stesso, che rimase giudeo fino alla fine). Altri gruppi si svilupperanno nell’alveo della sequela di Gesù, ma con caratteri più nettamente singolari e alternativi (gnostici, ebioniti, ecc.). Sistemi religiosi cristiani o eretici? Se eretici, rispetto a cosa?
Come si vede, la questione è complicata. Raccogliamo l’idea che opportunamente, nel tempo delle origini, si parla di cristianesimi: giudeocristiani, ellenistici, gnostici ecc. Paolo, nella Lettera ai Galati (3,28) consente di orientarsi: “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”. Paolo vuole segnalare – semplificando un po’ - che al di sopra delle distinzioni etniche (ebreo/giudeo o greco), culturali (giudeo o greco/gentile), sociali, di genere, c’è una nuova possibile comune appartenenza all’unica Chiesa di Cristo (meglio, alla chiesa che è in Filippi, Corinto, Antiochia, Gerusalemme, ecc.). Questa sospende, ma non annulla, ogni altra appartenenza: si tratta di interpretare complessivamente la realtà alla luce di un principio che è ora Cristo, non più etnico né storico-culturale, né – diremmo - religioso. È in questa prospettiva che occorrerà leggere la “libertà dei figli di Dio” propria dell’annuncio cristiano. Libertà che ad Antiochia – lì dove Paolo è stato accolto e ha vissuto le prime esperienza da convertito – si è certo espressa in modo singolare, tanto da alimentare anche teologicamente lo sviluppo successivo.
Avviso ai naviganti. Ho dovuto eccedere in questa somma di considerazioni: oggi più che mai, nella prospettiva globale in cui il pluralismo delle culture e religioni ritorna ad essere incontro effettivo di concezioni e modi di vita diversi, occorre ricordare la pluralità originaria del cristianesimo che già al suo interno ha vissuto posizioni diverse imparando le esigenze del dialogo non sempre facile, non sempre riuscito; a volte, tradito.

Fabrizio Filiberti

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